L’agente Astroboy è un omino piccolo e nerboruto, una vita
passata a spezzare ossa con un’ascia nei quartieri reietti della Transnistria,
il ghetto siberiano dei malavitosi. Cresciuto a pane e coltellate ha il corpo
ricoperto di cicatrici e tatuaggi, sul petto una granata circondata da una
corona di filo spinato. Sulla schiena due ali di colomba.
Cammina lento e composto, puntuale al secondo per i suoi
appuntamenti in compagnia di sorella morte quella che dorme nel calcio della
sua Makarov, una PB 6P9 semiautomatica ad azione doppia con camera d’espulsione
modificata e silenziatore sempre inserito; la porta con se ovunque vada anche
quando dorme, quando fa l’amore, quando viaggia, sempre!
Il luogo dell’appuntamento è l’affollatissima, sporca e
losca stazione Termini, malfamato punto di ritrovo di criminali di ogni
nazionalità e di trasandati treni strapieni di persone di ogni razza e colore.
Arriva al tavolo del bar sul balcone soprelevato per avere
una visuale completa di tutte le entrate, per dominare la situazione da più
angolazioni, per avere almeno tre punti di fuga (scala mobile, scala anti
incendio, salto nel vuoto atterrando sull’edicola sottostante). Un Messaggero
aperto fa da schermo per passare inosservato, tablet e cellulare di rinforzo
per confermare le tendenze moderne, occhiali Persol a chiudere il cerchio di
mode e status symbol da rivista patinata. Beve il suo caffè nero non zuccherato
e aspetta… aspetta che arrivi il suo uomo. Ha una missione da compiere e lui non
sa cosa significhi mancare un obiettivo.